Imitazione elementi esteriori e concorrenza parassitaria

Segreti commerciali e concorrenza sleale parassitaria: quando l’imitazione non è illecita secondo il Tribunale di Venezia

Tribunale di Venezia, 25 Novembre 2024, n. 3387/2024

Segreti commerciali e concorrenza sleale: il Tribunale di Venezia chiarisce quando l’imitazione è lecita e quando scatta l’illecito parassitario.

Violazione dei segreti commerciali: i principi affermati dal Tribunale di Venezia

Imitazione del prodotto e tutela delle informazioni riservate

Quando l’imitazione non implica l’uso di segreti commerciali

Concorrenza sleale parassitaria ex art. 2598 c.c.

Differenza tra imitazione del prodotto e imitazione dell’iniziativa imprenditoriale

Concorrenza parassitaria diacronica e sincronica

Il requisito della prossimità temporale

Onere della prova e limiti della tutela giudiziale

Violazione dei segreti commerciali: i principi affermati dal Tribunale di Venezia

Con la sentenza Tribunale di Venezia, 25 novembre 2024, n. 3387, il giudice ha fornito importanti chiarimenti in tema di violazione dei segreti commerciali e concorrenza sleale parassitaria, delimitando in modo netto il confine tra imitazione lecita e comportamenti illeciti.

Il punto di partenza è chiaro: la mera imitazione degli aspetti esteriori di un prodotto, quando tali caratteristiche sono visibili e accessibili agli operatori di mercato, non prova di per sé l’utilizzo di informazioni segrete o riservate.

Imitazione del prodotto e tutela delle informazioni riservate

Per configurare una violazione dei segreti commerciali è necessario che l’imitazione riguardi elementi nascosti del prodotto, non immediatamente percepibili dall’esterno.

Quando l’imitazione non implica l’uso di segreti commerciali

Secondo il Tribunale:

  • l’imitazione di caratteristiche esteriori e palesi non integra automaticamente un illecito;
  • le informazioni protette devono riferirsi a contenuti tecnici riservati, non conoscibili con una semplice osservazione del prodotto;
  • solo in casi eccezionali — come prodotti di estrema complessità tecnica — l’imitazione dell’esterno può far presumere l’uso di disegni originali, quote e tolleranze interne.

Tale ipotesi è stata espressamente esclusa nel caso esaminato.

Concorrenza sleale parassitaria ex art. 2598 c.c.

Diverso è il discorso relativo alla concorrenza sleale parassitaria, riconducibile all’art. 2598, n. 3, c.c., che non si fonda sull’imitazione del prodotto in sé, ma sul sistematico sfruttamento dell’attività imprenditoriale altrui.

Differenza tra imitazione del prodotto e imitazione dell’iniziativa imprenditoriale

La concorrenza parassitaria si realizza quando un imprenditore:

  • opera continuamente e sistematicamente sulle orme del concorrente;
  • replica iniziative imprenditoriali, strategie, studi o ricerche;
  • agisce in modo non conforme ai principi di correttezza professionale, arrecando un danno competitivo.

Non rileva, quindi, la semplice somiglianza tra prodotti, bensì il plagio dell’attività imprenditoriale nel suo complesso.

Concorrenza parassitaria diacronica e sincronica

Il Tribunale distingue due principali forme di concorrenza sleale parassitaria.

Il requisito della prossimità temporale

L’illecito può configurarsi:

  • in forma diacronica, quando l’imitazione segue a breve distanza ogni singola iniziativa del concorrente;
  • in forma sincronica, quando la replica avviene immediatamente dopo l’ultima e più significativa iniziativa imprenditoriale.

In entrambi i casi, il requisito decisivo è la prossimità temporale, ossia l’imitazione deve avvenire prima che l’iniziativa diventi patrimonio comune del settore.

Onere della prova e limiti della tutela giudiziale

Affinché la concorrenza sleale parassitaria sia riconosciuta, è necessario:

  • escludere l’imitazione servile del prodotto (art. 2598, n. 1, c.c.);
  • individuare specifiche attività imprenditoriali sistematicamente e durevolmente plagiate;
  • dimostrare lo sfruttamento immediato e integrale delle iniziative del concorrente.

L’onere della prova grava sull’imprenditore che lamenta l’illecito, dovendo dimostrare la violazione delle regole di correttezza professionale.

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